Anna Politkovskaja, biografia di una giornalista coraggiosa. Schietta, determinata, ostinata, Anna Politkovskaja, assassinata il 7 ottobre di nove anni fa, merita di entrare nella memoria collettiva per il suo impegno a favore dei diritti umani. Una giornalista tutta d’un pezzo che ha denunciato con fermezza gli orrori perpetrati al popolo ceceno, riservando toni pungenti allo stesso Vladimir Putin. Anna lo accusò, senza peli sulla lingua, di violazione dei diritti civili nei confronti sia del popolo russo che di quello ceceno.
Anna Stepanovna Politkovskaja, il cui vero nome è Anna Mazepa, nasce il 30 agosto 1958 a New York da una famiglia di diplomatici sovietici ucraini. Dopo la laurea in giornalismo conseguita presso l’Università di Mosca nel 1980, inizia a lavorare al giornale moscovita Izvestija, successivamente diventa assistente del direttore di Obščaja Gazeta, Egor Jakovlev. Per lo stesso giornale nel 1998 si reca in qualità di inviata in Cecenia dove intervista Aslan Maskhadov, neo-eletto Presidente del paese. La causa cecena la infervora a tal punto che diventerà da quel momento lo scopo della sua esistenza.
Denuncia senza mezzi termini la politica di Vladimir Putin, a suo dire dispotica e unilaterale. Dopo varie minacce di morte, alcune delle quali perpetrate dall’ufficiale dell’OMON Sergei Lain, si trasferisce a Vienna. Il processo ai danni del poliziotto si protrae per parecchi anni fino a una condanna definitiva per abusi e maltrattamenti aggravati su un civile ceceno nonché falsificazione di documenti. La sua lotta a favore del popolo ceceno prosegue non solo con interventi sul campo ma soprattutto attraverso pubblicazioni che denunciano le violenze delle forze russe sul territorio, i rapimenti e i numerosi abusi commessi ai danni dei civili. Il 7 ottobre 2006, giorno del compleanno di Putin, viene assassinata con quattro colpi di pistola nell’ascensore del suo palazzo a Mosca. Ad oggi killer e mandante sono ancora sconosciuti.
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Anna Politkovskaja ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti del popolo ceceno, vittima delle forze russe insediatesi sul territorio. Un impegno che è andato ben oltre la teoria, la giornalista era solita recarsi molto spesso in Cecenia portando aiuti concreti alla popolazione, visitando ospedali e campi profughi e intervistando i militanti di entrambe le fazioni.
Il suo coraggio le è costato numerose minacce di morte, l’esclusione dagli ambienti ufficiali e infine la vita: “Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me. Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci.”
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