La presidente del consiglio Giorgia Meloni è sotto inchiesta con l’accusa di peculato e favoreggiamento per la scarcerazione del generale libico Njeem Osama Almasri Habish, capo della polizia accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte dell’Aja. Dopo l’arresto a Torino il 18 gennaio e il rilascio è stato riaccompagnato a Tripoli su un volo di Stato dopo 96 ore.
Ma Almasri, lo ricordiamo, secondo i giudici della Corte penale internazionale, “ha picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente anche bambii e ucciso personalmente detenuti, nonché ha ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli“. Le immagini di lui atterrato a Tripoli che scende dall’aereo di Stato italiano mentre è accolto festeggiando tra grida di scherno nei confronti dell’Italia hanno fatto il giro delle testate giornalistiche.
L’indagine della procura di Roma comunicata dal procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi, è nata da un esposto presentato da Luigi Li Gotti, definito da Meloni Toga Rossa perché l’avvocato è passato al centrosinistra dopo un breve intermezzo in Italia dei Valori, anche se aveva iniziato la carriera politica nella destra post fascista, come Meloni, prima nel Movimento sociale italiano e negli anni ’90 era in Alleanza nazionale.
All’indomani della notizia di indagine ricevuta dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha diffuso sui social un video in cui mostra un foglio e dice di aver ricevuto un avviso di garanzia per il caso Almasri e assicura gli italiani che lei non è ricattabile e continuerà a guidare l’Italia. C’è un errore di fondo, che è bene sottolineare.
Di fatti si tratta di una grossolana svista, se non altro, perché quello ricevuto da Meloni non è un avviso di garanzia, cioè non è una comunicazione di indagine a suo carico per un procedimento penale. Si tratta invece di una iscrizione nel registro delle notizie di reato, che per altro è stata consegnata anche ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano. E tutti hanno scelto Giulia Bongiorno come avvocata per la difesa.
Come ricordato anche dall’ANM, in base alla legge costituzionale n.1 del 1989, premier e ministri possono essere indagati per reati compiuti durante i loro mandati, solo dal Tribunale dei ministri, un collegio presente in ogni Corte d’Appello che è composto da tre magistrati sorteggiati ogni due anni.
Quando un procuratore riceve una denuncia di questo tipo passa gli atti al tribunale dei ministri senza fare indagini, quindi si informa la persona interessata di aver ricevuto tale denuncia. Si tratta di un atto dovuto. In genere queste notifiche sono accompagnata dalla richiesta di archiviazione, stavolta non è stato così.
Cosa succede adesso e cosa rischia Giorgia Meloni? Il Tribunale dei ministri ha 90 giorni di tempo per svolgere le indagini preliminari, potrà ascoltare le persone coinvolte, compresa Giorgia Meloni e fare accertamenti. In seguito potrà decidere l’archiviazione o trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica per l’autorizzazione a procedere.
In tal caso il Parlamento deciderà se concederla o negarla con votazione a maggioranza assoluta. Se vota a favore si avvia il procedimento presso il tribunale ordinario presso la Corte d’Appello competente.