La concezione della maternità è sicuramente una questione culturale: cresciamo con degli standard che definiscono cosa significhi essere mamma, come ci si debba comportare come tali e quali siano le scelte più giuste da fare. Negli ultimi anni, però, stanno venendo scardinati questi concetti e non è di certo un cambiamento accettato di buon grado da tutti. Per questo è sempre più diffuso il fenomeno del mom shaming, soprattutto tramite i social, che hanno il grande problema e irrisolto di canalizzare non solo la condivisione di contenuti utili e interessanti, ma anche commenti negativi e odio gratuito.
Dare consigli non richiesti, criticare apertamente le scelte, attaccare frontalmente con insulti e parolacce, lanciare frecciatine mascherate da gentilezza: sono tutti questi atteggiamenti che si possono ricondurre al mom shaming, ovvero al giudizio negativo della mamma in quanto tale, poiché secondo il punto di vista di chi critica non sta agendo come dovrebbe.
In realtà, ogni genitore ha una storia a sé e soprattutto valuta secondo le proprie considerazioni come comportarsi al meglio per il proprio figlio e nessuno dovrebbe permettersi di sindacare o entrare nel merito di una questione così privata. Basti pensare a come, ancora oggi, vengano criticate le donne che scelgono il parto cesareo o di non allattare: ognuna ha le proprie motivazioni e in accordo col proprio medico percorre la strada che preferisce. Solo lei può decidere.
Il mom shaming non si consuma solo sui social ma anche nella vita reale. Rientrano sotto il grande cappello di questo spiacevole fenomeno per esempio le domande invadenti in merito alla crescita del bambino: chiedere come mai non stia già camminando, come mai sia in ritardo nello sviluppo motorio o cose del genere, insinuano tutte un’ inadeguatezza della mamma e del papà, decisamente irrispettosa. È molto rischiosa in tal senso la competizione tra genitori sull’educazione e i progressi dei piccoli, assolutamente negativa: ideale allontanarsi da queste persone negative, se queste però fanno parte della famiglia, la situazione diventa ancora più stressante e di difficile gestione.
Altra questione spinosa che fa cadere presto nel mom shaming è quella del lavoro: le mamme lavoratrici sono ancora parzialmente un tabù. Per esempio, in Italia il welfare e il sistema culturale non sono ancora abbastanza forti e strutturati per poter permettere a tutte le donne di poter scegliere di continuare nella propria professione pur costruendo una famiglia. Domande e giudizi sulla scelta di non lavorare o meno sono una forma di violenza psicologica.
Infine, la questione corpo. Troppo magre, troppo grasse, troppo sciatte, troppo in forma: sembrerebbe che non esista la formula della mamma perfetta. O forse sì: teniamo ancora pensare che una mamma non sia più una donna, ma abbia un nuovo ruolo che la fa evolvere in un nuovo stato, dove non è più un individuo a sé stante.
Per questo, il corpo post-gravidanza è sotto la lente di ingrandimento perché in fondo pensiamo sia meglio nasconderlo, sia che sia perfetto che non, sia che rispetti troppo i canoni che non lo faccia. Questi giudizi spietati che non ha risparmiati neanche le modelle più belle: Emrata e Gigi Hadid sono state prese di mira in tal senso.
Peccato che non possa esistere un paradigma: ogni mamma è una persona diversa, così come ogni gravidanza e ogni corpo sono a sé: combattere il mom shaming significa rispettare ciascuna nella propria unicità.