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Niloofar, la pilota afghana minacciata di morte

Niloofar Rahmani, questo il nome della prima pilota afghana dopo la fine del regime talebano. Un sogno, quello di volare, che la giovane aveva fin dalla tenera età, proprio come suo padre, che tanto ambiva alla carriera di pilota militare. Peccato che alle donne afghane, sotto il regime, fosse preclusa persino l’istruzione, figuriamoci un sogno così ambizioso, prettamente maschile. Insomma, sembrava davvero destinato a rimanere un’utopia in quella terra dominata da una dittatura feroce, anti-femminista. Ma lo canticchiava anche Cenerentola, “credi fermamente e il sogno diverrà realtà”. Così è successo alla ventitreenne afghana che, dopo aver trovato (per caso) un annuncio dell’aviazione militare rivolto a reclute donne, non ha esitato un attimo. Oggi, dopo un addestramento di 2 anni e mezzo con gli americani, Niloofar è la prima pilota donna dell’Afghanistan, dopo la fine del regime.

Un sogno che è divenuto finalmente realtà quello di Niloofar Rahmani, la giovane afghana che fin d a piccina desiderava arruolarsi nell’aviazione militare. “Era il sogno di mio padre. Papà voleva fare il pilota militare, ma non ha potuto, non aveva le conoscenze giuste” ha affermato la ragazza che oggi vanta l’appellativo di “top gun afghana”. Se la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, quella del successo lo è di difficoltà. Nel caso di Niloofar più che mai. Colpa del regime talebano prima, di un addestramento particolarmente duro poi. Ma lei, a dispetto di tutto, ha superato le prove che la vita l’ha costretta ad affrontare e ad oggi continua a lottare, perché nonostante il suo sogno sia divenuto realtà, c’è chi non l’ha presa bene. Non solo connazionali e alcuni parenti, ma gli stessi colleghi di lavoro, sempre pronti ad accusarla di qualcosa, in quanto donna: “C’è gente sul lavoro che cerca costantemente di trovare qualcosa di sbagliato in quello che faccio perché crede che non sia permesso a una donna di stare nelle forze armate”.

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E come se non bastasse Niloofar riceve costantemente minacce di morte da parte dei talebani e di alcuni parenti lontani. Intimidazioni che hanno costretto i familiari più prossimi a trasferirsi in India, per poi fare ritorno al paese d’origine, dove nel frattempo l’ostilità della gente è cresciuta: “Nel 2013 la mia famiglia ha deciso di lasciare il Paese. Ma dopo due mesi siamo tornati: restare in India era difficile, e poi pensavo che avrei trovato una situazione più tranquilla, che la gente si fosse scordata di me. Purtroppo era tutto uguale, anzi peggio”.

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Published by
Laura De Rosa