Cosa succede ai contributi versati in caso di morte del pensionato? A questa domanda si possono dare varie risposte. Innanzitutto partiamo dal presupposto che in presenza di eredi, siano essi il coniuge, i figli o altri parenti di grado secondario, la pensione diretta del defunto si trasforma in pensione indiretta per i suddetti.
La pensione ai superstiti viene infatti corrisposta secondo diverse modalità. Esiste la pensione indiretta, liquidata agli eredi nel caso in cui il defunto non fosse ancora ufficialmente in pensione al momento del decesso. Vi è poi l’indennità di morte, che si caratterizza per il fatto che il defunto, al momento del decesso, non aveva ancora versato almeno 15 anni di contributi o 5 di cui almeno 3 entro i 5 anni precedenti al decesso.
Essa viene liquidata una tantum moltiplicando il valore dell’assegno sociale per gli anni di contributi versati. Inoltre a differenza degli altri trattamenti pensionistici può essere corrisposta solo a coniuge e figli, escludendo gli altri eredi di grado secondario.
Infine vi è la pensione di reversibilità, che è il trattamento più comunemente corrisposto agli eredi del de cuius. La pensione di reversibilità viene versata al coniuge, ai figli, ai nipoti, ai genitori o ai fratelli e alle sorelle del pensionato. Essa prevede aliquote diverse: il coniuge, in particolare, riceve una percentuale pari al 60% della pensione, anche se si tratta di coniugi separati o divorziati. Nel secondo caso, però, è necessario che il coniuge percepisse un assegno di mantenimento e soprattutto che non si sia risposato.
Nel caso dei figli l’aliquota è pari al 20% per ogni figlio, ma solo stanti alcuni requisiti. In particolare i figli hanno diritto alla reversibilità solo se sono minorenni, studenti fino a 26 anni di età oppure inabili al lavoro. Ne consegue che il coniuge può ricevere una reversibilità anche dell’80 o del 100%, ma solo nel caso in cui i figli rientrino in una delle categorie sopra elencate.
Lo scopo principale di questo tipo di prestazione, infatti, è quello di tutelare le esigenze di vita della famiglia cui il defunto contribuiva. Ne consegue che in caso di persone economicamente autonome, che dunque percepiscano redditi superiori al minimo stabilito per legge, la reversibilità per il coniuge rimanga nella percentuale del 60%.