Al vertice dell’orrore, nel mercato di cani in Cina, c’è il festival di Yulin. Si tratta di un polo nevralgico per spietati macellai, commercianti, clienti. Un evento cruento e raccapricciante che, ogni anno, soddisfa un bacino d’utenza davvero incredibile. Le terribili immagini sono state documentate da numerosi dossier esteri, l’ultimo quello de Le Iene.
In Cina si compie ogni anno il più grande e spaventoso massacro di cani al mondo. Una ‘tradizione’ sedimentata nel tempo, un orrore incrostato tra le mille ombre di una superpotenza in continuo divenire.
I cinesi mangiano queste carni, è vero. Un fatto non discutibile in termini assoluti, se si pensa alla ‘nostra’ dieta che comprende il consumo di maiale, cavallo, vitello. A scatenare un sentimento di repulsione è la procedura con cui questi animali vengono trattati, prima e durante il macello.
Una vergognosa ostentazione di crudeltà che non è più legata all’assenza di strumenti utili a lenire il dolore ma all’ostinata reiterazione di condotte criminali che di umano hanno soltanto la firma.
I cani sono comunemente afferrati e tirati su con dei bastoni di ferro conficcati nel collo, brutalmente picchiati e sgozzati sotto gli occhi di un pubblico di potenziali acquirenti che non risparmia il circo dell’orrore nemmeno ai bambini.
Così diventa storia che si calcifica nel tessuto socioeconomico locale, e anche i più piccoli percepiscono la normalità laddove albergano, invece, efferatezza e violenza gratuite.
Yulin, da tempo, è area interdetta alle incursioni di stranieri che tentano di fermare questo scempio. Una trincea inoppugnabile in cui dar conto dei crimini commessi non è impresa semplice.
Secondo le stime della World Animal Protection di Pechino, nell’area asiatica vengono uccisi circa 25 milioni di cani all’anno. Circa la metà in Cina.
Le modalità di macellazione sono terribili. Torturati e persino bolliti vivi per ‘preservare’ il contenuto proteico delle carni. Alcuni vengono scuoiati vivi, seguendo l’infondata credenza che questo interferisca positivamente sulla sessualità del consumatore finale.
Il festival di Yulin è teatro di morte per circa 10mila cani. Una stima da ritoccare probabilmente al rialzo, per una spietata mattanza lunga 10 giorni.
Dal 21 al 30 giugno, in occasione del solstizio d’estate, nella Regione autonoma di Guangxi Zhuang, migliaia di gabbie, catene, strumenti di tortura diventano polo di attrazione per un numero imprecisato (ed esorbitante) di clienti.
Il mercato di Yulin, in realtà, non affonderebbe le radici nella più antica tradizione cinese. Si tratterebbe di una fiera ‘moderna’ creata ad hoc per meri fini commerciali. A volerne intercettare una data di inizio, si arriverebbe al 1990. Lo ha rivelato la Humane Society International, organizzazione che si batte per la chiusura definitiva del festival.
Di pari passo, al fianco dell’emergenza animalista, c’è anche un’emergenza di natura igienico-sanitaria: gran parte degli animali destinati al macello sono randagi, catturati per le strade e dall’incerta condizione di salute. Il Ministero della Sanità cinese ha riferito che, ogni anno, sarebbero circa 3mila i decessi dovuti al consumo di queste carni. Il virus della rabbia è uno spettro prepotente dietro il vergognoso massacro.
Soltanto di recente alcuni governi asiatici hanno iniziato a modificare l’approccio a questo fenomeno. Nel 2017, Taiwan ha imposto il divieto di consumo di carni di cane e gatto. Primo Paese in Oriente.